Quando agli spareggi eliminammo la Russia | L'Ultimo Uomo

2022-10-14 21:00:03 By : Ms. Yawei Yang

Un doppio confronto ricordato per l’andata giocata in una tempesta di neve.

Quella volta a fregarci era stata l’Inghilterra per appena un punto: loro 19, noi 18. L’Italia aveva centrato una storica vittoria a Wembley con gol di Zola a febbraio, ma a loro era bastato pareggiare 0-0 nell’ultima partita del girone all’Olimpico l’11 ottobre per qualificarsi al Mondiale 1998 e mandare noi agli spareggi. Era stato un brutto risveglio per il Paese: l’idea di non andare in Francia da vice campioni in carica era semplicemente impensabile. La colpa, ovviamente, era ricaduta su Cesare Maldini, il CT. Maldini era stato promosso dall’U-21 neanche un anno prima, quando Sacchi nel bel mezzo delle qualificazioni aveva dato le dimissioni all’improvviso, richiamato dal Presidente Berlusconi al Milan. Dopo gli anni dogmatici con il “profeta di Fusignano”, la scelta di Maldini, prodotto interno della federazione, stava a certificare il ritorno a un’Italia più duttile, in qualche modo più italiana . 

Tuttavia dopo un buon inizio erano arrivati due scialbi pareggi per 0-0 contro le modeste Polonia e Georgia che avevano compromesso il primo posto e la nostra presenza al mondiale francese. La stampa lo aveva accusato di avere le idee confuse e di non aver trovato un assetto per la squadra, cambiando spesso giocatori e moduli senza trovare risposte. La sterilità offensiva mostrata potendo contare su Baggio, Zola, Del Piero, Chiesa, Inzaghi e Vieri era una tragedia. Lui aveva provato a scaricare la colpa sulla FIFA, che aveva appena cambiato i regolamenti delle qualificazioni al Mondiale «per estromettere qualche squadra europea, speriamo non la nostra, magari a favore della Giamaica», e sul classico “troppi stranieri in Serie A”, «un grandissimo problema, perché impediscono ai nostri giovani di crescere». Non c’era stato tempo per piangersi addosso però, perché – al contrario di oggi che il rischio di non partecipare al Mondiale ce lo stiamo portando dietro da quattro mesi – il programma era serrato: sorteggio dell’avversaria due giorni dopo il pareggio con l’Inghilterra e poi le sfide di andata e ritorno da giocarsi lungo il mese successivo. 

Il 13 ottobre dall’urna di Zurigo esce il nome della Russia, accoppiamento accolto con un cauto ottimismo, visto il rischio di incontrare le ben più talentuose Croazia (che poi in Francia arriverà terza) e Jugoslavia. Nel 1997 la Russia è la squadra di Kolyvanov, appena passato al Bologna dopo essere stato una delle bocche da fuoco del Foggia di Zeman e soprattutto di Kanchelskis, archetipo del talento russo imprevedibile, anche lui in Italia in quel momento, in una parentesi non troppo fortunata con la Fiorentina. 

One of the *naughtiest* showboats on a football pitch here from Andrei Kanchelskis back in his @RangersFC days.

The fact it leads to a goal is shows it was totally necessary.pic.twitter.com/Rygm60yaxf

Forse il picco dell’abbinamento talento e pazzia: Kanchelskis sale sul pallone, guarda l’orizzonte come in barca, poi guida l’azione del gol. 

Ma il vero avversario è il clima. L’andata si giocherà a Mosca il 29 ottobre e se la storia ci ha insegnato che nessuno può battere il Generale Inverno, anche l’autunno in Russia non scherza: le previsioni parlano di clima tremebondo e campi più adatti alla coltivazione che al calcio. L’allenatore russo, Petrovich Igniatiev, ci tiene comunque a sottolineare che la favorita è l’Italia per esperienza e blasone e che la Russia «Punterà sul collettivo, sulla solidarietà dei nostri giocatori e sulla voglia di realizzare una grande impresa».

Ma intanto Maldini deve gestire la fronda interna. L’Italia è una polveriera, da Madrid, sponda Real, Panucci non le manda a dire: «Non si può giocare come a Roma, una sola occasione da gol in una partita da vincere assolutamente. Gli inglesi sono stati ben più squadra di noi… Per quanto mi riguarda, se continua a chiamarmi senza farmi giocare, meglio restare in Spagna». Non verrà chiamato. Non è l’unico a lamentarsi per lo scarso impiego. Parole simili arrivano da Eusebio Di Francesco, che parla a nome suo e del compagno di squadra Di Biagio: «È inutile che Maldini si lamenti della nostra scarsa esperienza internazionale. […] Se non ci fa mai giocare, come possiamo migliorarci?». Non saranno chiamati neanche loro. 

Maldini prova a risolvere i dubbi di formazione scegliendo il meno possibile. Il 23 ottobre arrivano le convocazioni e sono le più ampie della storia azzurra, anche più ampie di quanti poi potrebbero andare in Francia, 24. L’unico a pagare è Inzaghi, titolare con l’Inghilterra e fuori dallo spareggio, sostituito da Ravanelli che sta rinascendo a Marsiglia. Gli altri esclusi sono Roberto Baggio, che ha perso la battaglia con Zola e Del Piero nella grande guerra dei trequartisti di quegli anni (spoiler: non la guerra), Antonio Conte e Francesco Toldo, a cui Maldini preferisce un giovanissimo Gianluigi Buffon come terzo portiere. 

Il clima nel ritiro della Borghesiana non è dei migliori. Il capitano e figlio dell’allenatore (le due cose non sono correlate) Paolo Maldini ha un problema alla caviglia e non dovrebbe essere della partita, mentre la scarsa fisicità di Zola e Del Piero rischia di essere un bel problema per gli azzurri, visto che a Mosca «piove, nevica, e non hanno messo i teli sul campo». L’unico a sorridere è Enrico Chiesa, che nella notte scappa a Genova per assistere alla nascita del figlio Federico, prima di tornare in ritiro per giocarsi una maglia da titolare. 

Il più buio però è proprio il CT Maldini, soffocato delle attenzioni intorno alla squadra, per cui il fallimento non è proprio contemplato. La crescente insofferenza verso i giornalisti, con cui non avrà mai un bel rapporto, esplode contro un inviato della Rai, Enrico Varriale, a cui al termine di un battibecco urla «Vai a casa, bassottino…fai anche male il tuo mestiere, qui non ci vieni più». 

Per sua fortuna arriva la partenza per Mosca e tutti gli sforzi si concentrano sul campo pesante, che diventa l’avversario più temuto, molto più dibattuto della Russia stessa, a cui dopotutto – a parte qualche nome minore del nostro campionato – è anche difficile dare una pronuncia corretta ai giocatori. Sembra il solito sensazionalismo dei giornalisti, ma il 29 ottobre alle 18, tutta l’Italia collegata si accorge che, effettivamente, il meteo potrebbe essere un problema. Una tempesta di vento e neve si sta abbattendo sullo stadio della Dinamo Mosca dove si gioca la partita e le condizioni sembrano più quelle di una campagna napoleonica. Si dovrebbe rimandare, ma non si può. I militari spazzano la neve prima del calcio d’inizio, le serpentine riscaldate poste sotto il campo fanno quello che possono, ma il risultato è un’alternanza fango-neve che sembra più appropriata a una canzone di Battiato che non a uno spareggio mondiale. 

Per il vecchio adagio secondo cui a campo pesante corrispondono giocatori pesanti, Maldini si affida alle “due torri” Vieri e Ravanelli, lasciando Del Piero in panchina e Zola in tribuna (che mestamente aveva fatto notare che lui gioca in Inghilterra, dove di campi pesanti e climi rigidi ne vede tutte le settimane, non così pesanti viene però da pensare). Alle loro spalle tanta sostanza e pochi fronzoli: difesa a cinque con Cannavaro, Costacurta e Nesta al centro, Maldini (che ha recuperato) e Pessotto sugli esterni; in mezzo davanti a loro Dino Baggio, Albertini e Di Matteo. Anche i russi si schierano con il 5-3-2, davanti Kolyvanov e Kanchelskis, a centrocampo si parla bene di questo Dmitri Alenichev che gioca nel campionato locale. 

I giocatori della Russia entrano in campo infagottati in una pesante giacca a vento blu con lo sbaffo Nike gigante sul petto, accanto a loro una fila di ragazzi cresciuti che indossa k-way sponsorizzati Sneakers. È il 1997 e il sogno americano è arrivato anche lì.

In campo abbondano le maglie a maniche lunghe e i guanti, la calzamaglia invece non deve essere ancora stata inventata e le gambe dei giocatori sono esposte alle intemperie. Il pallone arancione della Select è il 23esimo giocatore in campo, visto che si muove e rimbalza come se avesse una vita propria. Giocare a calcio è veramente difficile e non aiuta neanche una regia nostalgica che rende difficile il già difficile compito di capirci qualcosa. Le due squadre comunque si danno battaglia, se non tattica, almeno nello spirito. Tanto è l’ardore che al 31esimo Kanchelskis prende l’abbrivio col favore del ghiaccio e col ginocchio entra durissimo su Pagliuca. Volontario? Difficile dirlo. Il numero uno è costretto a uscire zoppicando e si fa un pezzettino di storia, perché Peruzzi è infortunato e ad entrare è Gianluigi Buffon, a 19 anni e 9 mesi il più giovane portiere azzurro dal 1912. 

La corsa dal centro del campo verso i pali è la presentazione di Buffon alla Nazionale: se Pagliuca indossava maglia a maniche lunghe, pantaloni della tuta e fascia para orecchie, lui si affaccia nella tempesta con pantaloncini corti, maniche della maglia tirate su e guanti in mano. A Tardelli che dalla panchina invocava la protezione del signore , Chiesa, compagno al Parma, replica sicuro: «Tranquillo questo è un fenomeno». In campo Buffon sembra fare il portiere della Nazionale da tutta la vita: copre l’area, urla ai compagni, dà indicazioni. Dopo dieci minuti passati a vedere uomini adulti cercare di controllare l’incontrollabile è il suo turno: Alenichev, il migliore dei russi, si avventa su un cross basso dalla destra e di destro mira deciso sul primo palo. Anche la regia rimane sorpresa dalla velocità dell’azione, ma non Buffon che compie un grande intervento, uno dei suoi. Almeno questo è quello che si intuisce dalle immagini in diretta – senza neanche lo straccio di un replay – e dalla leggera testata d’affetto che gli rifila Cannavaro subito dopo. 

Quello che doveva succedere, succede a inizio secondo tempo. Vieri, che nel primo tempo ha fatto saltare tre denti a Onopko con una gomitata, approfitta di un errore di Tsveiba (se di errori possiamo parlare su questo campo) e dopo un paio di passetti da orso ballerino nel fango per controllare e aggiustarsi il pallone supera Ovchinnikov con un piattone sinistro. È quello che si aspettavano tutti: Vieri sta sbocciando come bomber implacabile all’Atletico Madrid , ha segnato 11 gol nell’ultimo mese, di cui uno incredibile al Paok in una tripletta segnata appena pochi giorni prima, tirando praticamente dalla bandierina del calcio d’angolo, e tutte le nostre speranze di fare gol erano affidate a lui. 

Il vantaggio dell’Italia dura appena tre minuti: Khokhlov scappa sul fondo e il suo maligno tiro cross viene deviato in rete da Cannavaro, che dirà di non aver visto la palla. Difficile fargliene una colpa. Per l’Italia è il segnale che va bene così: mentre il campo diventa sempre più malmostoso e impraticabile, la squadra di Maldini abbassa il baricentro e chiude gli spazi. C’è il tempo di vedere entrare Benarrivo, per tutelare una fascia destra per sciatori e Del Piero, che sembra accettare con stoica rassegnazione il dover mischiarsi a quel pastrocchio. La partita rimane in qualche modo gradevole, se non come calcio in purezza, come segno di cosa possa fare alla vitalità dei calciatori la possibilità di andare o meno al Mondiale. La Russia, c’è da dire, ci prova ancora, ma la presenza di Nesta, Cannavaro e Maldini dentro l’area di rigore, può sembrare banale, fa sembrare impossibile per l’Italia prendere un altro gol.  

Nel replay del gol della Russia appare – nel bel mezzo della bufera di neve – quello che potrebbe, come non potrebbe, essere un miraggio: uno Snickers gigante con la faccia da gatto. 

Il pareggio fuori casa ci sorride, in un calcio in cui le rimonte fuori casa sono ancora viste come imponderabili. Maldini fa melina: «Non è ancora fatta. Abbiamo giocato solo il primo tempo di una partita lunga 180 minuti», l’allenatore russo se la prende con l’arbitro che non avrebbe sanzionato un fallo da rigore di Cannavaro e mancato di espellere Vieri per la gomitata (il giocatore dirà involontaria, anche qui manca un replay). 

Qui una sintesi invece di altissima in cui, credo, si discuta dei torti arbitrali ricevuti dalla Russia. 

Per il ritorno, a Napoli, bisogna aspettare due lunghissime settimane. E se i giocatori si ributtano sugli affari dei club, fuori il mondo si divide tra chi spera che gli azzurri possano inciampare – l’emittente inglese Channel 4 presenta il ritorno con una pubblicità in cui si vede un uomo la cui testa viene spinta dentro un piatto di spaghetti mentre una voce spiega: «A Roma gli inglesi hanno vinto; tocca ai russi completare la missione» – e chi come Pelè tifa per l’Italia: «Per noi brasiliani un Mondiale di calcio senza l’Italia non è un vero Mondiale», dice forse ricordando quella finale del 1970, ma anche che avrebbe portato Baggio, che invece resta a casa anche per il ritorno. 

La marcia d’avvicinamento al ritorno non è priva d’insidie: l’Italia perde Vieri e Pagliuca per infortunio, ma recupera Casiraghi; la Russia tre giocatori fermati dalle loro squadre per protesta contro la politica filomoscovita della federazione. Ignatiev se ne fa una ragione, ma, dice, «Mi pare evidente che la disciplina non sia il punto di forza del mio gruppo. Paghiamo nel calcio il periodo di transizione della nostra patria. Il professionismo ha cambiato tutto: le esigenze dei calciatori sono aumentate, giocare per la maglia non basta più».

Il cauto ottimismo arrivato a caldo dopo il pareggio dell’andata svanisce sotto una patina di superstizione. A chi fa i conti delle eventuali perdite economiche di mancare un Mondiale giocato appena oltre le Alpi, Franco Carraro risponde: «sarebbe un incubo, prima di tutto sportivo ed emotivo che supererebbe qualsiasi costo monetario». Si parla anche molto del premio in denaro promesso agli azzurri: «Figuriamoci se pensiamo ai miliardi, adesso» dice Angelo Peruzzi «Se non andiamo in Francia, beh, siamo dei pipponi pazzeschi». L’altra notizia è che c’è il golden gol: non lo sapeva nessuno. 

Per la partita Maldini conferma il modulo con le “torri”, con Casiraghi al posto di Vieri. Se a Mosca aveva un senso pratico, la scelta anche per il ritorno fa storcere il naso alla stampa: rinunciare alla tecnica potrebbe mandare un messaggio difensivista alla squadra. Cosa che effettivamente trapela dalle dichiarazioni dei calciatori tutte varianti del “primo non prenderle” («Non dobbiamo giocare per lo 0-0, ma lo 0-0 mi andrebbe benissimo» dice Maldini ). 

In un San Paolo vestito a festa, con i fuochi d’artificio prima del fischio d’inizio, l’Italia fa proprio questo: contiene, che poi è, storicamente, una delle cose che gli riesce meglio. Peruzzi, preferito a Buffon, se la cava con un senza voto in pagella e a regnare è la monotonia, tanto che a fine primo tempo Lamberto Dini storce il naso : «Non mi pare che l’Italia abbia schierato il centrocampo più adatto per sostenere l’azione di Casiraghi e Ravanelli. È un’ impostazione troppo difensiva, non riusciamo a fare gioco». Difficile da capire anche l’atteggiamento della Russia, la squadra chiamata ad attaccare, e che invece gioca “quasi leziosamente, come avesse la testa altrove”, come scrive Mura . A inclinare la gara, e la qualificazione, in maniera definitiva verso l’Italia è l’unica cosa bella di una partita molto più brutta di quella giocata a Mosca, ovvero il gol di Casiraghi, un sinistro incrociato al volo su lancio di Albertini, il cui riverbero arriva fino al Palasport di Casalecchio di Reno, dove in contemporanea c’è il concerto degli Oasis. Sulle note di chiusura di Don’t Look Back in Anger Liam Gallagher annuncia agli spettatori «Pare che la vostra squadra abbia segnato».

A guardare al passato con rabbia è però Cesare Maldini, che a risultato acquisito si toglie qualche sassolino dalla scarpa, continuando a criticare il percorso di qualificazione («non è possibile fare 18 punti nel girone e andare allo spareggio. Questo è un errore di partenza commesso da tutte le federazioni, compresa la nostra») e soprattutto verso chi aveva prospettato con insistenza l’idea di affiancargli un tutore per la panchina in vista dei Mondiali («Una volta mi feci male al ginocchio, il medico mi mise un tutore, ma io me lo levai subito. Figuriamoci se posso accettare un tutore che mi affianchi»).

Contro la Russia fu il successo di un’Italia che accettava di non poter giocare sulla fantasia. Dopo gli anni difficili per i trequartisti nel 4-4-2 di Sacchi, anche Maldini, nel momento della paura, aveva accantonato Zola, considerato uno dei migliori giocatori del campionato inglese; Del Piero, che nei due anni precedenti aveva vinto e perso una finale di Champions, sempre da protagonista, e Baggio, che anche nel 1997 era sempre Baggio per una squadra piena di giocatori muscolari e inquadrati. L’Italia ha sempre avuto un rapporto controverso con i suoi numeri 10 e forse questo spareggio ne segna il punto più basso, ma anche l’inizio della rinascita. In Francia Baggio fu portato a furor di popolo e, seppur in un Mondiale non troppo fortunato, fu uno dei migliori. 

Per questi spareggi il trequartista, forse il 10 con il rapporto peggiore con la Nazionale, sta in panchina, mentre in campo, forse, si nota l’assenza di un giocatore in grado di illuminare le partite chiuse. Abbiamo però un’idea e dei giocatori disposti a seguirla, magari non sarà Bobo Vieri nella neve di Mosca, ma è già qualcosa a cui aggrapparsi.

Marco D'Ottavi è nato a Roma, fondato Bookskywalker e lavorato qui e là.

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